Il nostro 2024 riparte con l’OPENWEEK per famiglie e studenti delle scuole medie!

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Dal 22 al 26 gennaio sarà possibile visitare la scuola su prenotazione!

Con l'apertura delle iscrizioni online sulla piattaforma UNICA del MIM (18 gennaio 2024 - 10 febbraio 2024) abbiamo pensato di dare un'ulteriore opportunità a famiglie e studenti che dovranno scegliere la scuola superiore per l'a.s. 24/25.

Nei pomeriggi dal 22 al 26 gennaio sarà possibile visitare la nostra scuola prenotando sulla pagina degli OPENDAY 23/24.

4 appuntamenti pomeridiani per visitare la nostra scuola. 
Nello specifico vi porteremo alla scoperta dei Laboratori multimediali dotati dei migliori software per la creatività, la fotografia, il video e il web.
Attrezzature all'avanguardia per una scuola che vuole stare al passo coi tempi, come l'azienda. Potrete visitare i Laboratori di stampapost-stampa e packaging; gli ambienti ricreativi e di svago, una palestra attrezzatacampi esterni e il campo da calcio in erba sintetica.

Siete interessati al mondo della comunicazione digitale e della grafica?
Vi aspettiamo!

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In Direzione, a tu per tu con Simone Spagnolo

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Questa volta siamo finiti in Direzione! No, non preoccupatevi, ci siamo andati di proposito per scoprire la nostra scuola da un’altra prospettiva; quella di chi la scuola la progetta e la costruisce per noi. La visione di noi studenti è spesso condizionata da pregiudizi e luoghi comuni; ma è davvero così grande la distanza tra noi?

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Lo abbiamo chiesto a Simone Spagnolo, vice Direttore dell’Istituto…
Sono diversi gli ex-allievi che attualmente insegnano nella nostra scuola e che condividono il carisma e il metodo educativo; Simone Spagnolo è uno di questi. Terminato il percorso tecnico agli Artigianelli ha approfondito gli studi frequentando un corso di specializzazione ai Salesiani di Milano e successivamente il corso para-universitario di Cross Media communication e Project management presso l’ITS Academy Angelo Rizzoli, fiore all’occhiello della formazione tecnica superiore lombarda. Dal 2015 è Presidente dell’Associazione Culturale Studi Grafici di Milano.
Nel 2022 frequenta il master “Management scolastico e direzione delle scuole paritarie” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Oggi è viceDirettore dell’Istituto.

 

Si descriva in tre parole
Sicuramente direi entusiasta; amo il lavoro che faccio e questa scuola. Un grande maestro e filosofo diceva: “Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita”. - Confucio, giusto? - Si, Proprio lui, vedo che siete preparati e questo è un bel punto di partenza.
Mi considero una persona molto positiva, ho imparato, anzi, sto imparando a cogliere da ogni esperienza di vita il massimo; insegnamenti e benefici.
Aggiungerei sensibile e determinato.

 

Da quanto tempo è in questa scuola?
Come ben sapete, qualche anno fa ero seduto tra questi banchi; ogni mattina zaino in spalla e badge a portata di mano. - Il badge? - Si esatto, come avviene normalmente in azienda, dovevamo timbrare l’entrata e l’uscita da scuola. Ci facevano sentire quasi grandi e responsabili…

Era il 2004 quando entrai qui in prima superiore. Dopo gli studi e un po’ di esperienza in azienda tornai qui come insegnante dieci anni dopo, nel 2014, anche se in verità non abbandonai mai completamente gli Artigianelli, l’ambiente e le persone.

 

Quanto è cambiata la scuola da quando era studente e come ha vissuto il passaggio?
Qualche anno è passato... e naturalmente, come potete ben immaginare, gli occhi dello studente non sono quelli dell’insegnante. Qualcosa però rendeva unica questa scuola; era tangibile per chiunque; un’aria di famiglia e quel senso di appartenenza che si creava via, via negli anni e maturava in un ragazzino di quasi diciotto anni che da lì a poco avrebbe dovuto lasciare la scuola e proseguire gli studi superiori altrove.
Avevamo la fortuna di poter contare su un gruppo di professori molto preparati e uniti tra loro. Persone che negli anni, tanti anni di insegnamento nella nostra scuola, avevano e sapevano trasmettere carisma e grande professionalità.

Qualche anno dopo diventai collega di quegli stessi insegnanti e non nascondo che mi fece un certo effetto; p. Marcello, Direttore della scuola a quei tempi, mi diede un’opportunità unica che vivo tuttora con grande motivazione, determinazione e riconoscenza.
“E poi dai insomma, ve lo confesso”… niente più studio, verifiche, interrogazioni… Finalmente tre mesi di ferie e, questa volta, senza compiti delle vacanze! Cosa potevo volere di più?
Scherzi a parte… i “tre mesi di ferie dell’insegnante” sono assolutamente uno dei più grandi falsi miti da sfatare. Per il resto non ho mai smesso di studiare e di aggiornarmi. È fondamentale e necessario per garantire agli studenti una formazione up-to-date. E questo è quello che fanno tutti i vostri insegnanti.

 

Cosa l’ha portata a scegliere questa scuola da studente?
Mi piaceva disegnare, me la cavavo egregiamente con squadra e matita, ero portato per i lavori manuali e mi piaceva cucinare; spesso occupavo la cucina di casa per preparare torte e biscotti; immaginate la gioia di mia mamma.. Ah, sia chiaro, non ho mai smesso di dilettarmi in queste cose!

Per farla breve avevo in testa due scelte: la scuola grafica e l’alberghiero. Cominciai col visitare una prima scuola, di grafica e comunicazione. Beh ecco, fu l’unica. Nessun dubbio, era la scuola che volevo frequentare. Laboratori professionali, computer e attrezzature all’avanguardia, una grande aula da disegno, campi da gioco, un grande cortile, l’armadietto personale, un campo scuola in montagna a settembre.. Beh, devo andare avanti?

 

Cosa l’ha spinta a diventare professore?
Cominciai a pensarci in quarta superiore, avevo proprio la vostra età.
Mi eccitava l’idea di poter tramandare quello che professionalmente e umanamente stavo ricevendo.

In quegli anni partecipai a diverse iniziative che mi diedero una bella spinta; una su tutte, la storica iniziativa del campo scuola di settembre; quattro giorni in montagna tutt'oggi organizzati con lo scopo di accogliere al meglio i nuovi studenti di prima superiore. Partecipai in qualità di studente accompagnatore che doveva testimoniare, attraverso l’esperienza personale e una presenza concreta, il senso di appartenenza a una scuola che ha sempre saputo essere molto più di una scuola. Tutto questo assieme a insegnanti che sono stati per me esempio e guida; persone che hanno contribuito a formare l’uomo che sono oggi e condizionato quel desiderio che oggi è il mio lavoro.

 

Cosa vuole trasmettere ai suoi studenti?
È una mia ricetta, Ok? Tenetela per voi e fatene tesoro… (sorride ndr)
Tante soft skills e una buona dose di hard skills in un ambiente accogliente e dinamico e il gioco è fatto, o quasi! Dico quasi perché proprio questa è la grande, e difficile, missione dell’insegnante-educatore.
Coltivare la passione per quello che si fa e stimolare la curiosità sono senz’altro fattori imprescindibili. L’insegnante appassionato ne è sicuramente un facilitatore; gli studenti lo percepiscono dal coinvolgimento, dalla sensibilità e più semplicemente dalla presenza.

L’innovazione tecnologica si trasformerà sempre più rapidamente. Ad esempio, vi siete chiesti dove ci porterà l’intelligenza artificiale di cui tanto si parla oggi? Sono tanti i risvolti positivi, ma non ci sono solo quelli. Le professioni dovranno necessariamente adattarsi a questi nuovi scenari. Bisogna reagire positivamente al cambiamento; essere resilienti e sviluppare una buona capacità di adattamento attraverso le sfide quotidiane, lo sviluppo di progetti più o meno complessi, il team building e l’esperienza in azienda. Da dove cominciare? Beh, non credo ci sia posto migliore di una scuola come la nostra.

 

Quali sono per lei i 3 must have di una scuola come la nostra?
I nostri studenti possono contare su laboratori e attrezzature all’avanguardia, su competenze che vengono costantemente riviste e aggiornate.
Là fuori nulla di tutto questo è così scontato; molti di voi riconoscono questa fortuna, questo valore, ed è una cosa che apprezzo molto.
La prerogativa della nostra scuola è proprio quella di garantire una formazione e una preparazione appetibile e ricercata. Certo, non senza sforzi; stiamo parlando di investimenti talvolta molto onerosi. È fondamentale perciò creare sinergie e attivare confronti con aziende, università, scuole, associazioni di categoria. Noi lo stiamo facendo bene ma c’è ancora molto da fare.

Fatta questa premessa torno alla vostra domanda.
Un’alleanza educativa rinforzata. La crescita dei giovani avviene attraverso un buon lavoro condiviso tra scuola e famiglia. Serve più fiducia nell’istituzione scolastica scelta per la crescita dei propri figli. Mi piacerebbe vedere le famiglie sempre più coinvolte nelle attività educativo-scolastiche.

L’internazionalizzazione. E qui l’inglese è solo un mezzo per raggiungere l’obiettivo. La scuola deve essere sempre più aperta a misure e azioni finalizzate alla formazione e alla crescita globalizzata di tutti i suoi attori: studenti, docenti, dirigenti. Mi riferisco ad attività di scambio e gemellaggi con realtà scolastiche estere, mobilità per stage e formazione, esperienze di insegnamento e di studio. A novembre 2022, ad esempio, grazie al programma Erasmus+, siamo andati in Irlanda a Cork con i vostri compagni di quarta IFP.

Un’offerta formativa extrascolastica ben strutturata. Bisogna rinnovare il modello educativo; la scuola non può più essere solo “ore di lezione e nozioni su nozioni”; è importante ascoltare e far tesoro delle esigenze dei nostri ragazzi. Il sistema scolastico americano, in questo, è molto più avanti.

 

A questo proposito, lei è coordinatore di OpenART. Di cosa si tratta?
Negli ultimi anni la pandemia ha avuto un impatto significativo nella vita di ciascuno di noi, stravolgendone stili di vita e abitudini.
C'era bisogno di ascolto e presenza. Ce lo chiedevate a voce alta, quasi urlata!
Stanchi di quella nuova scuola virtuale che aveva annullato di colpo incontri e relazioni. Solo il desiderio, enorme, di tornare a fare scuola, in presenza. Un paradosso fino a qualche anno fa!

OpenART nasceva quindi come occasione di ascolto e condivisione.
Poi, nel 2022, presentai il progetto all'Università Cattolica del Sacro Cuore, durante il master di management scolastico. Oggi OpenART vuole essere uno spazio extrascolastico in cui si sviluppano attività stimolanti e progetti innovativi volti al miglioramento della socializzazione, dell'aggregazione e dell'apprendimento multidisciplinare (coaching, attività ludico-creative, inglese, team building, simulazione d’impresa, attività sportive, …).
Gli studenti, al centro del progetto, non solo partecipano alle varie attività proposte, ma, assieme al team di coordinamento, possono ideare e proporre nuove iniziative di valore sperimentando il coinvolgimento attivo (co-creazione).

 

Cosa non deve mancare ad un professore?
Sicuramente l’autorevolezza. È una delle prime cose che gli studenti colgono. Prima della preparazione ricercano la personalità, decisa e convincente. L’insegnante autorevole dovrebbe assicurare il rispetto delle regole attraverso l’ascolto e lo sviluppo di relazioni significative coi propri studenti.
Siamo una scuola a tempo pieno; alterniamo ore di lezione a momenti ludico-ricreativi e questo presuppone una presenza attiva, carismatica, concreta.
In questi ultimi anni ci siamo trovati nella condizione di rivedere, stravolgere, adattare i nostri metodi di insegnamento, apprezzando il valore di una flessibilità quasi sconosciuta. La risposta dei nostri docenti è stata straordinaria! È fondamentale quindi rinnovare i metodi di insegnamento adattandoli ai tempi, considerando nuovi strumenti tecnologici e opportunità. Il fine lo conoscete benissimo: lo studente apprende quando viene coinvolto attivamente e stimolato. E poi chi dice che non si può imparare divertendosi?

Mi sento di dire che stiamo costruendo un bel team, giovane e preparato.
Non mancano i momenti di aggregazione e svago anche fuori dal contesto “scuola” e le occasioni per condividere passioni e interessi. Ci piace stare assieme e questo credo sia il segreto.

 

Ci dica una curiosità su di lei
Ogni volta che sento di dover ricaricare le batterie scelgo Il mare (anche con qualche tuffo fuori stagione) o un bel trekking impegnativo in montagna; amo scoprire posti nuovi. La natura ci regala energia incredibile e luoghi meravigliosi!

Mi piace cantare; ho diversi strumenti musicali e vi assicuro che tra tutti studiare il violino da autodidatta è praticamente impossibile. Sono un “fotomane”, faccio foto sempre e ovunque, sono interista… Ah avevate detto una?

 

Come si vede fra 20 anni?
Che domanda difficile! Vi rispondo tra 20 anni, posso?
In fin dei conti credo di meritarmi un bel voto…

Credo nella legge di attrazione, quindi dirò solo cose positive.
Mi vedo circondato da persone che mi vogliono bene; famiglia, amici, colleghi.
Felicemente sposato e impegnato a crescere qualche giovane in più…
Avete letto tra le righe? (sorride ndr)

Eccoci di nuovo in Direzione!

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No, non preoccupatevi, ci siamo andati di proposito per scoprire la nostra scuola da un’altra prospettiva; quella di chi la scuola la progetta e la costruisce per noi. La visione di noi studenti è spesso condizionata da pregiudizi e luoghi comuni; ma è davvero così grande la distanza tra noi?


Lo abbiamo chiesto a Gildo Bandolini, preside dell’Istituto…

Padre Gildo Bandolini, Insegnante e preside agli Artigianelli di Milano, da sempre lavora in mezzo ai ragazzi delle superiori non solo per insegnare, ma anche come educatore per provare, sull’esempio di san Lodovico Pavoni, a trasmettere valori solidi, sotto il profilo umano e cristiano, ai ragazzi di questa scuola.
“Religioso” da 50 anni (si chiamano così coloro che nella Chiesa scelgono una particolare forma di vita) e prete da più di 40, ha vissuto da sempre con i Pavoniani dalla prima media fino ad ora. Si è laureato in lettere e dopo vari spostamenti, da Tradate (VA) a Lonigo (VI), a Genova e Brescia, a settembre del 2015 è finito a Milano, e da quel momento è rimasto qua.

 

Si descriva in 3 parole
Sorridente, pignolo e disponibile.

 

Quando ha capito che la religione era la sua strada?
Essendo cresciuto in una famiglia profondamente cristiana, ero da sempre a contatto con la parrocchia e l'oratorio, quindi è difficile trovare un momento preciso. Posso dire che la mia vocazione ad essere prete e prete pavoniano è cresciuta con me.

Così, finita la quinta elementare, sono entrato nel seminario dei Pavoniani per vedere se quella era la strada giusta per me. Se non ricordo male all’inizio della prima media eravamo in 27, ma alla fine del percorso (dopo la maturità) di quel gruppo ero rimasto solo io. Nulla di strano. D’altronde è maturando che una persona si interroga su cosa vuole fare nella vita: alcuni avevano scelto altre vie, ma per me quella era la strada giusta. Una scelta che poi ho confermato diventando pavoniano e prete.

 

Come è arrivato alla nostra scuola?
Per noi pavoniani, il dove uno è situato non dipende dal singolo individuo. Quando si diventa “religiosi”, tra gli altri si fa un voto (è un impegno solenne) di obbedienza, che si esercita non solo ma soprattutto in caso di spostamenti. Il superiore ti chiama per dirti “Abbiamo pensato che per te sarebbe meglio…” oppure “Abbiamo bisogno della tua presenza in questa Casa…”, e cosi dove mi chiedono di andare io ci sono.
Poi io a Milano sono arrivato da Brescia. Anche se facevo tutt’altro, avevo già bazzicato in ambiente scolastico e, dato che c’era qua a Milano bisogno di qualcuno che l'avesse fatto, hanno chiamato me.

 

Cosa vuole trasmettere ai suoi studenti?
Ultimamente guardandomi in giro ho notato che molti giovani esprimono in maniera più o meno aperta un'insoddisfazione in molte cose, e guardando questo fenomeno, quello che voglio cercare di trasmettere ai miei studenti è che la vita è una cosa bella, e che la religione, la fede, in questo non ti porta via nulla, anzi, ti da uno slancio in più.
Purtroppo però queste cose non capita spesso di dirle in classe, perché la necessità di tenere sotto controllo il gruppo e la disciplina fa uscire le parti più esigenti, più dure del tuo carattere che non ti permettono di fare spazio ad altre espressioni.

 

Quali sono per lei i 3 must have di una scuola?
Per prima cosa penso debba avere un corpo docente ben unito e motivato, perché sono convinto che una scuola deve essere  anche una comunità educativa, e senza dei docenti ed educatori che vogliano camminare insieme verso gli stessi obiettivi, si fa fatica.
Dopodiché deve essere una scuola con in mente dove vuole arrivare e dove vuole portare, curandosi degli aspetti didattico-professionali.
Infine deve essere uno spazio aperto dove i ragazzi si trovino a proprio agio, anche per momenti non strettamente legati all’orario scolastico… ma mi rendo conto che a Milano con tutte le esigenze e distanze che ci sono non è sempre possibile farlo per tutti.

 

Cosa non deve mancare a un professore?
Non deve mai mancare la voglia di insegnare.
Penso che tutti i professori vivano momenti in cui si deve interagire con una classe difficile e si sente la pesantezza e la difficoltà in quel che si sta facendo, però se riesci a ritrovare le forze e ti butti, allora hai anche la possibilità di recuperare tutte le motivazioni che ti spingono a fare quello che fai.

 

Ci dica una curiosità su di lei
Anche adesso, ogni tanto, quando ho un po’ più di tempo, la sera, mi piace guardare un episodio di serie televisive come NCIS dopo il telegiornale. Ormai però capita sempre più spesso che il sonno mi chiuda gli occhi e così non riesco quasi mai a vedere la fine dell’episodio o mi sveglio… in un’altra serie: ma cosa è successo ai personaggi di prima?

 

Qual è il suo giorno preferito della settimana?
Direi il sabato, non perché non ci siano impegni, ma perché, avendo un pò più di tempo libero, trovo il modo di occuparmi di cose che, durante la settimana, proprio non posso fare, riuscendo anche a dedicare più attenzioni a me stesso.

 

Questa volta siamo finiti in Direzione!

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No, non preoccupatevi, ci siamo andati di proposito per scoprire la nostra scuola da un’altra prospettiva; quella di chi la scuola la progetta e la costruisce per noi. La visione di noi studenti è spesso condizionata da pregiudizi e luoghi comuni; ma è davvero così grande la distanza tra noi?


Pesenti
Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Pesenti, Direttore dell’Istituto...

Ritardi, assenze, giustifiche. Il nostro Direttore non si occupa solo di questo!
Ex studente della scuola, ora Professore e Direttore: Giuseppe Pesenti, proveniente da Carugate in provincia di Milano, frequenta la nostra scuola dal 1973 al 1976 come studente, e dal 1988 come professore!
Dopo aver fatto i primi tre anni delle superiori qui a scuola, ha proseguito gli studi ai Salesiani di Milano. Finiti gli studi, continua con 10 anni di attività in diverse aziende grafiche e quasi 30 anni dietro alla cattedra da professore. Segue poi un master in dirigenza scolastica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e nel 2015 diventa Direttore della scuola, ma andiamo più in dettaglio...

 

Si descriva in 3 parole.
Intraprendente, positivo e tenace.

 

Quanto è cambiata la nostra scuola e come ha vissuto il passaggio?
La nostra scuola è cambiata tantissimo! Ormai è praticamente irriconoscibile, tranne per lo spirito familiare che aleggia ormai da anni.

Ai miei tempi, da studente, ma anche nei primi anni in cui ho iniziato a lavorare qui agli Artigianelli, c’era ancora il sistema tipografico [accostamento di caratteri mobili per la riproduzione a stampa di un testo scritto] con le vecchie macchine tipografiche. Nel 1988 è arrivato il primo Macintosh di cui ho potuto scoprirne i segreti e le potenzialità.
L’anno successivo ho iniziato i primi corsi di impaginazione grafica (DTP). Da lì poi l’evoluzione tecnologica ha cambiato anno dopo anno tutta la nostra scuola. È cambiata anche nel numero di studenti e di classi. Da 90 studenti ai 240 di quest’anno.

All’inizio c’erano solo 3 classi, poi sono diventate 5 con l’aggiunta del quarto e del quinto anno. Quando la scuola è passata da istituto professionale a istituto tecnico abbiamo aggiunto parallelamente anche la formazione professionale (parliamo del 2003), così le classi col tempo sono diventate 9.

I vari passaggi che si sono succeduti sono sempre stati gestiti e calati nella didattica con una visione proiettata sempre ai 5 anni. La nostra forza però, è sempre stata quella di affrontare i cambiamenti condividendoli tutti assieme.

 

Cosa l’ha portata a scegliere questa scuola da studente?
Terminate le scuole medie, come tutti dovevo fare la scelta su quale tipo di percorso proseguire e alla domanda: “cosa vuoi fare da grande?” ho risposto che mi sarebbe piaciuto fare il giornalista.

Non essendoci una scuola superiore specializzata in giornalismo, mi hanno indicato una scuola che mi avrebbe potuto preparare a stampare i giornali e le riviste. Quindi dalla scuola media dei Pavoniani di Tradate (VA), sono venuto qui a Milano in questa scuola.

 

Cosa l’ha spinta a diventare professore?
È stata una scelta difficile. Tanto è stata difficile, quanto è stata rapida. In una sola notte ho deciso di intraprendere questa bellissima avventura...
Arrivavo dal mondo del lavoro, ero responsabile della qualità nell’azienda in cui lavoravo. Dopo qualche anno, per mancata condivisione di scelte aziendali, ho preferito lasciare l’incarico e l’azienda.

Ho telefonato a fr. Vergani dei Pavoniani, per chiedere se ci fosse la possibilità di cambiare azienda. Dopo qualche giorno mi ha contattato proponendomi di andare a lavorare a Sesto San Giovanni o di venire in questa scuola come educatore ed insegnante.
Subito mi sono chiesto se fossi stato adatto ad insegnare e a stare con i giovani. Dopo una notte un po’ insonne, la mia risposta è stata: sì, posso farcela.

 

Cosa vuole trasmettere ai suoi studenti?
La passione per il lavoro che stanno imparando.

Avere la passione per quello che si fa è il segreto rende lo studio e il lavoro una attività molto più interessante, appagante e significativa. Il nostro è un settore in continua evoluzione. La tecnologia, l’approccio e la modalità si sviluppano costantemente.

Al di là di questi cambiamenti però, i ragazzi sono rimasti gli stessi di 35 anni fa. Con gli stessi desideri, gli stessi sogni, la stessa voglia di emergere e di crescere; ma soprattutto con gli stessi bisogni: come quello di avere davanti a sé degli adulti che li sanno ascoltare e li sanno guidare. Imparare a guardarsi dentro e scoprire quante cose belle abbiamo e possiamo far emergere, utilizzandole.

 

Quali sono per lei i 3 must have di una scuola?
Chi lavora in una scuola deve farlo per passione. Deve amare i giovani, stare assieme a loro. Non è un lavoro come gli altri. Quando lavori in un'azienda, se commetti qualche errore - prendi, butti via e rifai; ma quando si sbaglia con un ragazzo, si può segnare quel ragazzo per tutta la sua vita.

Capacità, in ogni situazione, di scendere dalla cattedra e stare con i giovani senza perdere l’autorevolezza. Essere autoritario col tempo non è sostenibile. L’autorevolezza invece (riconosciuta e concessa dagli altri) si conquista giorno dopo giorno conquistandosi la fiducia dei giovani.

Condivisione e spirito sempre giovane. Ci vuole anche la voglia di stare con i ragazzi: Per stare con i giovani è indispensabile rimanere giovane e quindi è fondamentale conoscerli e passare con loro un po’ del nostro tempo a scuola. Il coinvolgimento con loro secondo me è fondamentale: giocare con loro, ascoltarli, parlare con loro, “perdere” un po’ del nostro tempo per stare con loro.

 

Voi professori siete al primo posto nella formazione dei ragazzi che andranno a rappresentare il futuro, che segno pensa di lasciare ai suoi studenti?
Non sono sicuro di cosa lasciamo nei nostri allievi in questi anni di formazione, ma penso che per ciascuno sia sempre qualcosa di diverso.
Mi sono sempre chiesto perché dopo anni, i nostri ex alunni, anche quelli più turbolenti, tornano a scuola a trovarci e a cercarci. Penso che ciascuno tenga dentro di sé emozioni e ricordi molto personali che lo hanno segnato, che lo hanno fatto crescere e diventare grande.

Col tempo forse si sono accorti che tutto quello che è stato fatto, è stato fatto solo per loro e che qualcuno gli ha voluto bene nonostante tutto.

 

Ci dica una curiosità su di lei.
Sono sempre stato considerato uno “sportivone autodidatta”.
Durante i miei primi anni di scuola elementare, frequentata a Sestola, mi hanno fatto correre su e giù per i pendii dell’appennino modenese. Quando frequentavo la scuola media (Tradate - VA) c’erano i Giochi della Gioventù e tutti i miei compagni facevano calcio, pallavolo, basket, ecc.

Io invece, magrolino e piccolo di statura, ero considerato un “tri pé” (significa ragazzo con la stampella “tre piedi”.. significato dialettale di “ragazzo impedito”) e mi dissero che al limite potevo fare il tifoso. Alla fine mi “offrirono” di fare la marcia, visto che nella mia scuola non la sapeva fare nessuno, io compreso.

Due mesi di allenamento - da solo su e giù per la stradina dell’Istituto, e poi via con la gara cittadina dove sono riuscito a vincere. In seguito, ho partecipato alla fase provinciale di Varese, che a mia sorpresa, ho vinto. Durante questi anni ho iniziato anche lo sci, nonostante io non sappia sciare.

Mentre frequentavo le superiori a Milano, ho iniziato a dedicarmi al ciclismo. Certo, poi ho praticato comunque anche altri sport: ho giocato a pallavolo e a basket fino a tre anni fa, ping-pong, pattinaggio a rotelle e pattinaggio sul ghiaccio, lancio del peso, salto in lungo, velocità, fitwalking e ancora marcia... Ora sono un po’ più tranquillo, continuo a sciare, ad andare in bicicletta, faccio fitwalking e i Cammini. Tutto sempre da autodidatta.
L’unico sport che non ho mai imparato e quindi praticato è proprio il calcio.

 

Cosa fa fuori dalla scuola?
Fuori da scuola sono impegnato in un’associazione sportiva: sono stato fondatore, allenatore e presidente per 34 anni di una polisportiva dove oggi si pratica la pallavolo, l’atletica, il calcio maschile e femminile, il basket, lo skate, il roller... con quasi 600 atleti/e. Ora sono vicepresidente e arbitro di pallavolo. Sono anche impegnato in una onlus (APAS) di solidarietà.

 

 

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