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Questa volta siamo finiti in Direzione!

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No, non preoccupatevi, ci siamo andati di proposito per scoprire la nostra scuola da un’altra prospettiva; quella di chi la scuola la progetta e la costruisce per noi. La visione di noi studenti è spesso condizionata da pregiudizi e luoghi comuni; ma è davvero così grande la distanza tra noi?


Pesenti
Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Pesenti, Direttore dell’Istituto...

Ritardi, assenze, giustifiche. Il nostro Direttore non si occupa solo di questo!
Ex studente della scuola, ora Professore e Direttore: Giuseppe Pesenti, proveniente da Carugate in provincia di Milano, frequenta la nostra scuola dal 1973 al 1976 come studente, e dal 1988 come professore!
Dopo aver fatto i primi tre anni delle superiori qui a scuola, ha proseguito gli studi ai Salesiani di Milano. Finiti gli studi, continua con 10 anni di attività in diverse aziende grafiche e quasi 30 anni dietro alla cattedra da professore. Segue poi un master in dirigenza scolastica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e nel 2015 diventa Direttore della scuola, ma andiamo più in dettaglio...

 

Si descriva in 3 parole.
Intraprendente, positivo e tenace.

 

Quanto è cambiata la nostra scuola e come ha vissuto il passaggio?
La nostra scuola è cambiata tantissimo! Ormai è praticamente irriconoscibile, tranne per lo spirito familiare che aleggia ormai da anni.

Ai miei tempi, da studente, ma anche nei primi anni in cui ho iniziato a lavorare qui agli Artigianelli, c’era ancora il sistema tipografico [accostamento di caratteri mobili per la riproduzione a stampa di un testo scritto] con le vecchie macchine tipografiche. Nel 1988 è arrivato il primo Macintosh di cui ho potuto scoprirne i segreti e le potenzialità.
L’anno successivo ho iniziato i primi corsi di impaginazione grafica (DTP). Da lì poi l’evoluzione tecnologica ha cambiato anno dopo anno tutta la nostra scuola. È cambiata anche nel numero di studenti e di classi. Da 90 studenti ai 240 di quest’anno.

All’inizio c’erano solo 3 classi, poi sono diventate 5 con l’aggiunta del quarto e del quinto anno. Quando la scuola è passata da istituto professionale a istituto tecnico abbiamo aggiunto parallelamente anche la formazione professionale (parliamo del 2003), così le classi col tempo sono diventate 9.

I vari passaggi che si sono succeduti sono sempre stati gestiti e calati nella didattica con una visione proiettata sempre ai 5 anni. La nostra forza però, è sempre stata quella di affrontare i cambiamenti condividendoli tutti assieme.

 

Cosa l’ha portata a scegliere questa scuola da studente?
Terminate le scuole medie, come tutti dovevo fare la scelta su quale tipo di percorso proseguire e alla domanda: “cosa vuoi fare da grande?” ho risposto che mi sarebbe piaciuto fare il giornalista.

Non essendoci una scuola superiore specializzata in giornalismo, mi hanno indicato una scuola che mi avrebbe potuto preparare a stampare i giornali e le riviste. Quindi dalla scuola media dei Pavoniani di Tradate (VA), sono venuto qui a Milano in questa scuola.

 

Cosa l’ha spinta a diventare professore?
È stata una scelta difficile. Tanto è stata difficile, quanto è stata rapida. In una sola notte ho deciso di intraprendere questa bellissima avventura...
Arrivavo dal mondo del lavoro, ero responsabile della qualità nell’azienda in cui lavoravo. Dopo qualche anno, per mancata condivisione di scelte aziendali, ho preferito lasciare l’incarico e l’azienda.

Ho telefonato a fr. Vergani dei Pavoniani, per chiedere se ci fosse la possibilità di cambiare azienda. Dopo qualche giorno mi ha contattato proponendomi di andare a lavorare a Sesto San Giovanni o di venire in questa scuola come educatore ed insegnante.
Subito mi sono chiesto se fossi stato adatto ad insegnare e a stare con i giovani. Dopo una notte un po’ insonne, la mia risposta è stata: sì, posso farcela.

 

Cosa vuole trasmettere ai suoi studenti?
La passione per il lavoro che stanno imparando.

Avere la passione per quello che si fa è il segreto rende lo studio e il lavoro una attività molto più interessante, appagante e significativa. Il nostro è un settore in continua evoluzione. La tecnologia, l’approccio e la modalità si sviluppano costantemente.

Al di là di questi cambiamenti però, i ragazzi sono rimasti gli stessi di 35 anni fa. Con gli stessi desideri, gli stessi sogni, la stessa voglia di emergere e di crescere; ma soprattutto con gli stessi bisogni: come quello di avere davanti a sé degli adulti che li sanno ascoltare e li sanno guidare. Imparare a guardarsi dentro e scoprire quante cose belle abbiamo e possiamo far emergere, utilizzandole.

 

Quali sono per lei i 3 must have di una scuola?
Chi lavora in una scuola deve farlo per passione. Deve amare i giovani, stare assieme a loro. Non è un lavoro come gli altri. Quando lavori in un'azienda, se commetti qualche errore - prendi, butti via e rifai; ma quando si sbaglia con un ragazzo, si può segnare quel ragazzo per tutta la sua vita.

Capacità, in ogni situazione, di scendere dalla cattedra e stare con i giovani senza perdere l’autorevolezza. Essere autoritario col tempo non è sostenibile. L’autorevolezza invece (riconosciuta e concessa dagli altri) si conquista giorno dopo giorno conquistandosi la fiducia dei giovani.

Condivisione e spirito sempre giovane. Ci vuole anche la voglia di stare con i ragazzi: Per stare con i giovani è indispensabile rimanere giovane e quindi è fondamentale conoscerli e passare con loro un po’ del nostro tempo a scuola. Il coinvolgimento con loro secondo me è fondamentale: giocare con loro, ascoltarli, parlare con loro, “perdere” un po’ del nostro tempo per stare con loro.

 

Voi professori siete al primo posto nella formazione dei ragazzi che andranno a rappresentare il futuro, che segno pensa di lasciare ai suoi studenti?
Non sono sicuro di cosa lasciamo nei nostri allievi in questi anni di formazione, ma penso che per ciascuno sia sempre qualcosa di diverso.
Mi sono sempre chiesto perché dopo anni, i nostri ex alunni, anche quelli più turbolenti, tornano a scuola a trovarci e a cercarci. Penso che ciascuno tenga dentro di sé emozioni e ricordi molto personali che lo hanno segnato, che lo hanno fatto crescere e diventare grande.

Col tempo forse si sono accorti che tutto quello che è stato fatto, è stato fatto solo per loro e che qualcuno gli ha voluto bene nonostante tutto.

 

Ci dica una curiosità su di lei.
Sono sempre stato considerato uno “sportivone autodidatta”.
Durante i miei primi anni di scuola elementare, frequentata a Sestola, mi hanno fatto correre su e giù per i pendii dell’appennino modenese. Quando frequentavo la scuola media (Tradate - VA) c’erano i Giochi della Gioventù e tutti i miei compagni facevano calcio, pallavolo, basket, ecc.

Io invece, magrolino e piccolo di statura, ero considerato un “tri pé” (significa ragazzo con la stampella “tre piedi”.. significato dialettale di “ragazzo impedito”) e mi dissero che al limite potevo fare il tifoso. Alla fine mi “offrirono” di fare la marcia, visto che nella mia scuola non la sapeva fare nessuno, io compreso.

Due mesi di allenamento - da solo su e giù per la stradina dell’Istituto, e poi via con la gara cittadina dove sono riuscito a vincere. In seguito, ho partecipato alla fase provinciale di Varese, che a mia sorpresa, ho vinto. Durante questi anni ho iniziato anche lo sci, nonostante io non sappia sciare.

Mentre frequentavo le superiori a Milano, ho iniziato a dedicarmi al ciclismo. Certo, poi ho praticato comunque anche altri sport: ho giocato a pallavolo e a basket fino a tre anni fa, ping-pong, pattinaggio a rotelle e pattinaggio sul ghiaccio, lancio del peso, salto in lungo, velocità, fitwalking e ancora marcia... Ora sono un po’ più tranquillo, continuo a sciare, ad andare in bicicletta, faccio fitwalking e i Cammini. Tutto sempre da autodidatta.
L’unico sport che non ho mai imparato e quindi praticato è proprio il calcio.

 

Cosa fa fuori dalla scuola?
Fuori da scuola sono impegnato in un’associazione sportiva: sono stato fondatore, allenatore e presidente per 34 anni di una polisportiva dove oggi si pratica la pallavolo, l’atletica, il calcio maschile e femminile, il basket, lo skate, il roller... con quasi 600 atleti/e. Ora sono vicepresidente e arbitro di pallavolo. Sono anche impegnato in una onlus (APAS) di solidarietà.